Umberto Eco - Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee (2010)
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Con la pubblicazione in volume di "Opera aperta", nel 1962, (costituito in buona parte da saggi apparsi in precedenza in rivista), Eco si è assunto l'ingrato compito di testa d'ariete, nell'intento di restituire dignità ai linguaggi delle arti, non solo a quello letterario, mentre intorno a lui scalpitavano le neo-avanguardie. Fedele al suo titolo, "Opera aperta" ha attraversato vicende editoriali complesse: più volte riedito e modificato, nell'edizione corrente riproduce quella del 1976. Questa, rispetto alle due prime edizioni (1962 e 1967) , ha perso il corposo saggio Le poetiche di Joyce, ripubblicato autonomamente. In compenso ha accolto, come appendice, il testo Generazione di messaggi estetici in una lingua edenica, di capitale importanza per i successivi sviluppi del pensiero semiotico dell'Autore. Ma "Opera aperta" è e resta un libro di rottura. Nella temperie che l'ha generato, tutto poteva concorrere utilmente a spezzare l'accerchiamento, a uscire dal cono d'ombra del crocianesimo senza cadere nella critica impressionistica e nell'elzeviro. Lo testimoniano le due introduzioni: la prima battagliera, in esergo all'edizione '62; la seconda, più meditata e distesa, che apriva l'edizione '67, entrambe lasciate a testimonianza dialogante con il testo, e precedute da una succosa antologia, di mano dello stesso Eco, che raccoglie le reazioni suscitate all'epoca fra gli addetti ai lavori. Val la pena di rileggerlo anche per queste pagine introduttive, per capire quanto era fecondo il milieu d'allora, e quanto povero e asfittico sia quello attuale. Sfido chiunque, oggi, a trovare spunti e materia per un libro analogo.
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